30 gennaio 2012

The Beautiful Land


The Beautiful Land è un libro che costa 99 centesimi americani, 89 centesimi di euro o 79 pence a seconda dell'Amazon sul quale lo si acquista, e si trova per ora solo in formato digitale e in inglese. Ho scoperto della sua esistenza grazie al tweet di un amico ed ex collega americano. È scritto da Alan Averill, che prima di darsi alla scrittura a tempo pieno, ha lavorato negli uffici americani di Nintendo sulla localizzazione di titoli come Hotel Dusk e Advance Wars. Considerato il prezzo, basterebbe dire che il libro è bello, perché a quella cifra è davvero un delitto non comprarlo, ma spenderò qualche parola in più al riguardo.

The Beautiful Land è un libro di fantascienza, che ricorda come meccanismi alcuni libri di Michael Crichton, con un elemento quasi scientifico, decisamente fantastico, ma tutto sommato plausibile e credibile che fa da fondamenta a tutta la vicenda. Nel caso del libro di Averill si tratta del viaggio del tempo e di una macchina inventata dal genio di turno che permette di saltare tra le varie linee temporali. The Beautiful Land è anche la storia di due persone, Takahiro e Samira (Tak e Sam per gli amici), un ragazzo e una ragazza legati da un forte legame, e della loro lotta per non perdersi e magari, già che ci sono, evitare che il mondo finisca.

Come ogni bel libro che si rispetti, The Beautiful Land funziona su più livelli. La trama principale è ben costruita e interessante, complessa, ma che non esagera mai con i colpi di scena o con eventi inspiegabili o poco credibili. Ma sono soprattutto i due personaggi a reggere la baracca: è facile affezionarsi a Tak e Sam, con la loro serie di problemi e conflitti interiori e non in quantità giusta da risultare credibili come persone. I loro dialoghi sono piacevoli, fanno sorridere e suonano come cose che due persone si direbbero sul serio, anche in situazioni incredibili come quelle in cui si trovano. Il libro si legge di corsa (non è molto lungo, ma io l'ho finito in circa tre giorni) anche per vedere come se la caveranno loro due e non solo per scoprire cosa accadrà al mondo.

Insomma, a 89 centesimi sono pochissimi per quasi qualsiasi cosa, ma se si tratta di un bel libro come The Beautiful Land, sono una cifra davvero irrisoria. Se avete un Kindle e avete fiducia nella vostra capacità di leggere in inglese, sarebbe un peccato lasciarselo scappare.

22 gennaio 2012

Source Code


Immagino che Duncan Jones sia il regista ideale per i produttori moderni: fa film con quattro soldi, risparmia su cast e set usando pochi personaggi e ancora meno ambientazioni e, nel caso paghi gli attori un tanto a parola, non scrive mai dialoghi superflui o ridondanti. E come se non bastasse, fa pure dei gran bei film.

Source Code è il suo lavoro più recente e si avvale di un cast più corposo rispetto al precedente Moon. Si tratta ancora una volta di un film di fantascienza, e ancora una volta è una fantascienza saldamente ancorata alla nostra realtà, che prende un elemento fantastico e lo inserisce nel contesto di una situazione realistica e credibile. In questo caso abbiamo a che fare con il programma "Source Code" (che non capisco perché non abbiano tradotto con "Codice sorgente" nel titolo italiano), una nuova tecnologia che sfrutta l'energia cerebrale residua nei deceduti per ricreare una sorta di realtà alternativa con la quale alcuni agenti possono interagire e Jake Gyllenhaal è uno di questi operatori altamente specializzati. E finiamola qui con la trama.

Il modo di fare cinema di Jones mi piace assai. Il suo è un cinema... educato, ecco, molto inglese per certi versi, che non si dimena scompostamente per attirare l'attenzione dello spettatore e non urla sguaiatamente per svegliare il pubblico assopito. Non ne ha bisogno perché, con il suo stile pulito e con sceneggiature che quadrano sempre il cerchio, è davvero difficile annoiarsi con un film di questo regista inglese. Anche gli attori si adeguano al suo stile compìto, perché Gyllenhaal e le co-protagoniste Michelle Monaghan e Vera Farmiga regalano interpretazioni intense, ma mai fuori posto né sopra le righe, sempre in sintonia con il regista e con gli altri attori. Quella che inizialmente sembra una rivisitazione in chiave thriller di Groundhog Day ("Ricomincio da capo" in italiano) si rivela essere un film profondo e complesso che non evita di affrontare temi che si sarebbero facilmente prestati a discorsi di retorica spinta; Jones invece li inserisce nel contesto della storia con il suo solito tatto e con un gusto cinematografico invidiabile. Source Code conferma quanto di buono Jones aveva fatto vedere con Moon ed è un sollievo, perché sarebbe stato un peccato scoprire che Moon era stato solo una botta di culo.

20 gennaio 2012

Unstoppable - Fuori controllo


Tony Scott è quello che dei due fratelli fa i film ignoranti e fracassoni, ma che ci piacciono tanto e ci fanno divertire come dei pazzi. In Fuori controllo (no, non è quello con Mel Gibson) prende Denzel Washington e lo mette nei panni dell'addetto ai treni esperto e disilluso e gli mette a fianco quel marcantonio di Chris Pine nella parte dell'addetto ai treni con mansioni diverse da quelle di Denzel tanto bello, quanto irruento e testone. Loro malgrado, i due baldi eroi si ritrovano impegnati a dover fermare un treno impazzito lasciato libero di scorrazzare per i binari di non mi ricordo quale Stato americano (Pennsylvania?) prima che deragli da qualche parte e combini un disastro.

Con uno sviluppo dei personaggi pronfondo quanto una pozzanghera residuo di dieci minuti di pioggia leggera, Unstoppable è tutto botti, esplosioni, dialoghi un po' del menga e scene d'azione che, anche se spesso sai benissimo come andranno a finire, ti tengono lo stesso incollato allo schermo. È un orologio perfetto, ogni ingranaggio è oliato alla perfezione e fino alla fine è un film d'azione divertente alla vecchia maniera. Parte forse lento, un po' come un treno che ci mette un po' a prendere velocità (questa metafora è più profonda di qualsiasi cosa trovata nel film, ve lo assicuro), ma una volta partito non si ferma fino ai titoli di coda. E poi cribbio, c'è pure Rosario.

7 gennaio 2012

À bout portant


À bout portant, che dubito sia mai uscito ufficialmente in Italia, non comincia non migliori dei modi: si apre con un inseguimento a piedi, con il signore nella locandina qui sopra nella parte dell'inseguito e due tizi armati di pistole impegnati a rincorrerlo giù per delle scale, poi in un parcheggio, poi su un ponte e poi basta che poi faccio SPOILER. Il punto è che l'inseguito è per tutto il tempo impegnato, oltre che a scappare, a tenersi una mano su una ferita che ha sull'addome e che sta sanguinando copiosamente. Quindi il suo passo è tutt'altro che centometrista. Eppure, per i pochi minuti della durata dell'inseguimento, i due tizi che lo rincorrono, che hanno un aspetto sanissimo e che non mostrano problemi fisici di nessun tipo, non solo non riescono a raggiungerlo, ma nemmeno ad avvicinarsi al loro bersaglio. Misteri della sceneggiatura.

A parte questo problema di sospensione dell'incredulità iniziale, questo film francese regala un'oretta e mezza scarsa di azione e intrattenimento di gran fattura. La tensione è dosata con mestiere e la storia risulta interessante e soprattutto credibile fino alla fine (e anche complicata al punto giusto). Fortunatamente gli autori hanno evitato i classici salti mortali per sorprendere lo spettatore e la sceneggiatura è solida e non lascia dubbi o buchi qua e là (a parte il misterioso inseguimento a elastico iniziale, ecco). Nonostante fosse facile cadere nella sua trappola, il film non esagera con la violenza gratuita, ma la conserva per i momenti che contano, aumentando di quel tanto che basta il livello da aumentarne l'impatto.

"À bout portant" è la storia di un uomo comune che si ritrova suo malgrado in una situazione eccezionale e della sua lotta per uscirne vivo, salvando anche la moglie incinta già che c'è. Non ha messaggi profondi o verità rivelate, ma è un film d'azione che fa quello che deve fare in maniera irreprensibile e senza sbagliare nulla o quasi (non inaspettatamente, pare che ne faranno una versione americana).

4 gennaio 2012

Le quattro volte

Come primo post dell'anno nuovo mi sembra giusto parlare di un film come Le quattro volte. Non ricordo come ho scoperto della sua esistenza, ma ne ho letto bene e, nonostante dicessero tutti che era un film "artistico", ho deciso di dargli una possibilità.

Non lo avessi mai fatto.

La locandina in effetti avrebbe dovuto farmi venire qualche sospetto. "Le quattro volte" non è tanto un film, quando piuttosto un documentario. Ambientato in non mi ricordo più quale paesino montano calabrese, segue con pigra attenzione le vicende giornaliere di un anziano pastore e, [SPOILER] dopo la sua morte, la vita di un agnellino e poi di un pino trasformato in albero della cuccagna che infine diventa carbone. Non sto inventando, giuro che è così. Le velleità artistiche non mancano di certo al regista e autore Michelangelo Frammartino, e la fotografia è decisamente apprezzabile, ma è durissima guardare un'ora e mezza scarsa di immagini accompagnate da belati e poco più. Io ce l'ho fatta a malapena, ma confesso di aver passato buona parte del film a cazzeggiare su vari social network con lo smartphone, e sono arrivato alla fine giusto per curiosità perversa più che per reale interesse nel film. La sua rappresentazione delle varie fasi della vita è fin troppo metaforica per me, ammetto i miei limiti e dico che, per quanto poetico e artistico, a me ha abboffato le palle.
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