30 dicembre 2012

Indie Game: The Movie

Primo post da mesi a questa parte e ultimo post del 2012.

Ci è voluto un documentario come Indie Game: The Movie per farmi tornare voglia di scrivere sul blog, dopo mesi in cui ho visto pochi film che, sebbene mi siano piaciuti, non mi hanno spinto a tornare da queste parti. E non è un caso che sia stato proprio Indie Game a ispirarmi per un nuovo post, perché parla di videogiochi e di persone che inseguono i propri sogni e le proprie passioni, sacrificando tantissimo in termini di affetti e salute mentale e fisica. Erano mesi che avevo il file sul mio NAS, regolarmente comprato sul sito ufficiale del film non mi ricordo nemmeno più quando, ed è stato un film assai natalizio per molti versi.

Indie Game segue lo sviluppo di due giochi che gli appassionati conoscono sicuramente, Super Meat Boy e Fez. Il primo è un platform difficilissimo e crudelissimo che nel 2010 è stato uno dei giochi migliori usciti su Xbox 360 (c'è anche su PC) e che a oggi ha venduto più di un milione di copie, mentre il secondo è la creatura di Phil Fish, un gioco di piattaforme ed enigmi che ha impegnato il suo creatore per oltre quattro anni, riscritto quasi interamente da capo almeno tre volte nel corso del suo sviluppo . A fare da contorno alle interviste ai ragazzi che lavorano a questi due giochi ci sono gli interventi di Jonathan Blow che ci racconta la genesi e il suo rapporto con il mai troppo lodato Braid (e di cui trovate una mia recensione qui).

Indie Game ci racconta cosa sono i giochi indie attraverso le parole di quattro persone che li fanno per lavoro e passione, prodotti su cui lavora un gruppo talvolta formato addirittura da non più di uno o due persone e libero dai limiti creativi e gli obblighi commerciali imposti dai grandi publisher (come Activision ed Electronic Arts, per fare due nomi d'esempio). Un gioco indie è un lavoro personale, la forma di espressione scelta dagli autori per comunicare con il resto del mondo perché talvolta le parole sono inadeguate o sono difficili da usare. Come ci dice Blow, è un lavoro imperfetto per propria natura d'essere, perché non deve e non può sottostare alle leggi di mercato, e sono proprio quelle imperfezioni che catturano la nostra attenzione, esattamente come sono le imperfezioni delle persone che ci attirano (volenti o nolenti).

Indie Game è anche la storia dello sviluppo e del lancio di tre dei giochi indie più famosi degli ultimi anni (Braid, Super Meat Boy e Fez appunto), e di quello che i loro autori hanno passato per coronare il loro sogno. Perché mentre per tanti un lavoro è solo un modo come un altro per portare a casa i soldi necessari per vivere e divertirsi, nel caso di Jonathan Blow, Edmund McMillen, Tommy Refenes e Phil Fish fare videogiochi è una passione e, per assurdo, vendere e fare soldi non è la prima voce in cima alla lista di obiettivi da completare.

Indie Game è documentario bellissimo, toccante e appassionante per tutti coloro che, come me, sono cresciuti con i videogiochi come un elemento integrante della propria infanzia e adolescenza. La mia è la generazione che ha visto il videogioco nascere e crescere e guardare un film che racconta così bene la nostra passione è toccante, così come lo è vedere l'intensità delle emozioni vissute delle persone protagoniste di questo documentario. Non va dimenticato che per ogni Braid che ha successo e cambia la vita (in positivo) del proprio autore, ci sono tantissimi altri giochi indie che "non ce la fanno", tante storie di sviluppatori che non arrivano a vedere la coronazione del proprio sogno. Forse non sarà altrettanto godibile per chi di videogiochi non sa o non vuole sapere niente, ma Indie Game: The Movie è una delle cose più piacevoli con cui ho avuto a che fare quest'anno.

19 settembre 2012

Arriva IGN


Dopo settimane di lavoro febbrile dietro le quinte (soprattutto da parte dei colleghi), ieri è andato finalmente online IGN Italia, l'edizione italiana del sito di videogiochi (e non solo) famoso in tutto il mondo e che può vantare di avere tra i membri dello staff anche me medesimo nel ruolo di collaboratore.
È una cosa bella ed emozionante e fare parte di un progetto sin dal suo inizio ha un valore particolare, come lo ha avuto e ha ancora il mio ruolo su Outcast. Nonostante sia appena nato, il sito ha già molte notizie e articoli, tra cui la mia recensione di Mark of the Ninja (è bello, compratelo). I contenuti saranno in gran parte scritti da noi dello staff e ci sarà anche qualcosa di tradotto dall'inglese, perché sarebbe stupido non approfittare del materiale americano.

Anche se IGN Italia è curato da tanta della gente di Outcast, quest'ultimo continuerà ad andare avanti sulle proprie gambe. Quindi, seguiteci sia di là che di qua, non ve ne pentirete.

16 agosto 2012

Brave

Quando uscì Cars 2, molti dei commenti sottolinearono come quel film, molto criticato da più parti, era sembrato un modo facile di fare soldi col merchandising per finanziare progetti più sperimentali e avventurosi. Tra quei progetti fu incluso Ribelle - The Brave, appena uscito nelle sale inglesi e previsto per il 5 settembre in Italia, visto al tempo come un film coraggioso e diverso dal solito. Chissà se gli autori di quei commenti la pensano alla stesso modo dopo aver visto il nuovo lavoro della Pixar, perché a me è sembrato un film molto tradizionale.

La protagonista di Brave è Merida, la principessa figlia dei regnanti di Scozia durante un non meglio precisato periodo storico (azzerderei qualcosa intorno al XII o XIII secolo D.C.). La ragazza è un maschiaccio e non gradisce per niente gli obblighi che la sua posizione prevede. La madre in particolare l'ha cresciuta in previsione del giorno in cui dovrà sposare uno degli eredi degli altri clan per perpetuare la tradizione e la vita del regno. Quando quel giorno finalmente arriva, Merida si ribella a sua madre e al suo destino e, con l'aiuto di una strega, prende in mano la sua vita. O almeno così pensa inizialmente, perché le cose ovviamente non vanno lisce come la ragazza sperava e pensava.

La trama di Brave è molto classica e narra la solita storia di una ragazza che non si accontenta di essere solo una bella principessa, ma che vuole essere anche artefice del proprio destino e delle proprie decisioni. È realizzato in maniera splendida, con animazioni come al solito bellissime e una protagonista carismatica e di carattere (e con una chioma rossa che mi ha catturato lo sguardo per i primi minuti di proiezione). Mi è sembrato molto più tradizionale di molte altre pellicole Pixar e con uno svolgimento tutto sommato prevedibile. Ci sono i soliti genitori duri, ma comprensivi, i fratellini che fanno da valvola di sfogo comica quando serve e tutto il cast di personaggi comprimari classici. Questo non vuol dire che il film non sia piacevole, con una buona, ma tutto sommato tranquilla prima ora e un'ultima mezzora molto divertente e appassionante, solo che forse Pixar ci ha abituati così bene che Brave, che è "solo" un buon film, sembra quasi deludente rispetto al passato. Il nuovo lavoro di Pixar è comunque 90 minuti di buon cinema che però difficilmente lasceranno un segno vicino a film come i vari Toy Story, Up e Wall-E.

Prima di Brave c'è stato il solito corto, intitolato La Luna stavolta. Breve, piacevole, con alcuni momenti davvero poetici e indovinati. Mi è piaciuto.

14 agosto 2012

The Girl with the Dragon Tattoo


Solita premessa doverosa: non ho letto i libri di Larsson e non ho visto il film originale svedese. Ok, titoli di testa.


Quello che in Italia si intitola Millennium - Uomini che odiano le donne è il rifacimento americano diretto da David Fincher dell'omonimo film svedese del 2009. Nel caso non lo sappiate ancora, narra le storie parallele di Mikael Blomkvist, un giornalista che si ritrova in difficoltà economica e progessionale dopo aver perso una causa per diffamazione, e Lisbeth Salander, una ragazza dal passato e dal presente complicati che ha un'abilità particolare per le indagini al limite e oltre la legalità. Le loro vicende s'incrociano brevemente all'inizio del film e poi si ritrovano a collaborare sul caso mai risolto della sparizione della rampolla di una facoltosa famiglia svedese, avvenuta a settembre del 1966.

La prima parte del film vede i due protagonisti percorrere un percorso separato e Fincher gestisce bene la differenza di tono tra la tranquilla e isolata isola su cui si trova Mikael e la oscura e violenta realtà urbana di Lisbeth, resa con mestiere visivamente e musicalmente grazie all'ottima colonna sonora di Trent Reznor e Atticus Ross (autori anche di quella di The Social Network). Sono soprattutto le vicende di Lisbeth a colpire, con la loro violenza e loro situazioni ai limiti, e Fincher non si tira indietro quando si tratta di rappresentarle con il necessario realismo che però non scade mai nel voyerismo e nel cattivo gusto.

Quando finalmente Lisbeth e Mikael si ritrovano, comincia il vero lavoro di indagine e il film assume maggiormente i toni e i temi del thriller. Tutto procede perfettamente grazie all'ottima regia di Fincher e alla sua attenzione al ritmo narrativo, ma il film perde mordente proprio sul finale, quando i protagonisti arrivano a una resa dei conti che sembra spuntare quasi dal nulla. Come se non bastasse, dopo la conclusione del caso c'è un'ulteriore parte narrativa che sembra appicciccata un po' a forza al film e mal si amalgama con il resto della vicenda.

Nonostante una trama leggermente zoppicante nella parte finale, The Girl with the Dragon Tattoo è comunque un ottimo film che non annoia mai nonostante i 150 minuti abbondanti di durata, grazie anche alle ottime interpretazioni di Daniel Craig e soprattutto Rooney Mara, monumentale nel ruolo di Lisbeth. I problemi narrativi sono probabilmente da ricondurre al libro, ma Fincher ha diretto con il solito stile impeccabile e il risultato è un film che magari non aggiungerà nulla all'originale (che probabilmente recupererò presto), ma che è sicuramente godibilissimo e merita di essere visto.

21 luglio 2012

The Dark Knight Rises


Mentre in Italia dovrete aspettare fino a fine agosto per vedere "Il cavaliere oscuro - Il ritorno", il terzo capitolo della serie di film dedicati a Batman scritti e diretti da Christopher Nolan, qui a Londra è uscito ieri e io sono corso a vederlo al primo spettacolo disponibile nel cinema vicino casa. Precisazione doverosa: conosco Batman, mi piace come personaggio, ma non sono un appassionato del fumetto, quindi non posso fare paragoni tra questa versione del cavaliere oscuro e quella originale.


Lo dico subito: The Dark Knight Rises mi è piaciuto più di Batman Begins (che non mi aveva convinto molto), ma meno di The Dark Knight. Quest'ultimo è un film della madonna, mentre The Dark Knight Rises è "solo" un ottimo film. Del resto non è facile passare circa 160 minuti di durata senza aver voglia di guardare l'orologio nemmeno una volta, a dimostrazione che il nuovo film di Nolan ha un buon ritmo e riesce ad appassionare. Ma non è perfetto.


Bane è un buon cattivo, riesce a farsi odiare come ogni cattivo degno di questo nome dovrebbe fare, ma manca del carisma del Joker di Heath Ledger. Tom Hardy non riesce a essere altrettanto convincente, ma più per colpa della maschera indossata dal suo personaggio che per sua incapacità. O forse non ha avuto abbastanza fisicità per sopperire alle limitazione impostegli dalla maschera che, tra l'altro, rende incomprensibili alcuni passaggi di dialogo (pensavo che fosse colpa mia e del mio orecchio italiano, ma leggendo in giro anche i madrelingua hanno avuto difficoltà). Bane inoltre è un personaggio meno sfaccettato di Joker e rimane meno coinvolgente sotto il punto di vista emotivo (e quando Nolan prova a dargli una maggiore profondità, il risultato è da mani nei capelli). Anche il personaggio di Marion Cotillard sa un po' di posticcio e non riesce a inserirsi a dovere nel meccanismo narrativo (ed è anche al centro del MACCHECCAZZO più grosso del film). La trama inciampa pesantemente verso la fine, ma riesce a riprendersi in qualche modo e per il resto è raccontata bene e offre elementi nuovi e di interesse fino ai titoli di coda. Christian Bale si conferma una perfetta incarnazione di Bruce Wayne e Batman, combattuto, tormentato e vendicativo al punto giusto. Il resto del cast è all'altezza, con il bravo come al solito Joseph Gordon-Levitt bravissimo nei panni di John Blake e Anne Hathaway che, un po' a sorpresa, riesce a essere una Catwoman più che convincente.


Nolan è talvolta un regista un po' legnosetto, ma The Dark Knight Rises è un film sontuoso dal punto di vista estetico e con una colonna sonora meravigliosa (Hans Zimmer, mica pizza e fichi). È una degna conclusione di questa trilogia, anche se forse non riesce a soddisfare in pieno le probabilmente troppo alte aspettative e paga l'esistenza di un predecessore semplicemente meraviglioso (i.e. The Dark Knight). Rimane comunque un film godibilissimo e spettacolare, con 160 minuti di ottimo cinema che soddisfano l'occhio e stimolano il cervello con temi e situazioni appassionanti.

18 luglio 2012

The Walking Dead

The Walking Dead è nato come fumetto nel 2003, scritto da Robert Kirkman e disegnato prima da Tony Moore e poi Charlie Adlar. Nel 2010 AMC ne ha fatto un telefilm, del quale trasmetteranno la terza serie a ottobre di quest'anno e che ha ricevuto pareri controversi (o lo si ama o lo si odia, io lo adoro). Ora Telltale ne ha tratto un videogioco, suddiviso in episodi e disponibile solo in forma digitale per PC, PlayStation 3 e Xbox 360. Per ora sono usciti due episodi su cinque in totale e il terzo dovrebbe essere imminente. Ho approfittato dei maledettissimi sconti su Steam (e ho preso anche tanta altra roba...) prendere tutta la serie a circa 13 sterline.

The Walking Dead fumetto e telefilm narrano le vicende di Rick Grimes, un ex poliziotto della Georgia che si risveglia da un coma in un'America (e presumibilmente in un mondo) in cui gli zombi hanno preso il sopravvento e i pochi sopravvissuti lottano in tutti i modi per non finire divorati dai morti viventi. Fumetto e telefilm seguono a grandi linee la stessa linea narrativa, anche se hanno alcune differenze più o meno importanti a livello di personaggi ed eventi. Il videogioco di Telltale è ovviamente ambientato nello stesso universo, ma è quello che in gergo si chiama spin-off, vale a dire un prodotto collegato alla serie principale per alcuni elementi fondamentali, ma che è comunque separato e indipendente. Il protagonista di The Walking Dead videogioco è Lee Everett, un uomo che si ritrova nel bel mezzo dell'apocalisse zombi mentre chiacchiera, ammanettato, con un affabile e attempato poliziotto che lo sta trasportando in auto non mi ricordo dove. La co-protagonista è Clementine, una bambina che Lee incontra all'inizio del primo episodio e il loro rapporto è uno dei temi portanti di tutto l'arco narrativo. A parte la presenza di alcuni personaggi già visti nel fumetto durante il primo episodio, il resto del gioco finora ha presentato persone ed eventi inediti anche se, non inaspettatamente, ripropone alcuni temi noti.

Oltre agli zombi, agli sbudellamenti e ai colpi di scena, uno degli aspetti più importanti di The Walking Dead è l'immedesimazione del lettore/telespettatore nei personaggi che ci porta a porci spesso la domanda "Cosa avrei fatto al suo posto?" Mentre nel fumetto e nel telefilm questa domanda rimane senza risposta a causa della fruizione passiva di questi due medium, nel videogioco possiamo finalmente prendere noi le decisioni, scegliere chi salvare e chi condannare a morte certa, di chi prendere le parti in una discussione e se è il caso di sparare e poi semmai fare domande. Gli autori del gioco sono riusciti a catturare con successo lo spirito del fumetto e a trasmettere quel senso di emergenza e di umanità in lotta per la sopravvivenza che hanno fatto di The Walking Dead il successo che è. A livello di meccaniche di gioco c'è ben poca roba, a parte qualche click che richiede dei tempi di reazione leggermente più rapidi, alla fine è un'avventura grafica moderna, ma per il resto questo The Walking Dead è soprattutto un'esperienza narrativa che rimane fedele al materiale originale, riproponendolo in una nuova forma che non sfigura. È particolarmente azzeccato il meccanismo con il quale i personaggi ricordano le nostre parole e le nostre azioni e si comportano di conseguenza. Farsi un nemico nel gruppo potrebbe rivelarsi una scelta fatale, ma rimanere neutrali potrebbe non essere sempre possibile, per esempio. Questo elemento contribuisce a fare di The Walking Dead un'esperienza di gioco organica e credebile dal punto di vista narrativo. I primi due episodi sono ottimi, con storie appassionanti e personaggi ben scritti e vale decisamente la pena di giocarci.

17 luglio 2012

Drive


Ci ho messo un po', ma alla fine sono riuscito a vedere anch'io Drive, e minchia se ne è valsa la pena.

Comunque, dicevamo, Drive. Leggi la trama e sai più o meno cosa ti aspetterà: il protagonista è uno stuntman di Hollywood che, nel tempo libero e per arrotondare, fa da Autista freelance per i rapinatori di Los Angeles (no, la A maiuscola non è un errore, quello è anche il nome del personaggio, visto che nel film non ci dicono mai come si chiami davvero). C'è la bella di turno, vicina di casa del protagonista con un figlio a carico, e ovviamente c'è una rapina che va male come peggio non potrebbe fare. Il minimo sindacale per un film di genere, un bel noir d'azione vecchio stampo. E invece no, perché Drive non è quello che ci si aspetta, o comunque non del tutto.

Alla fine gli ingredienti del film d'azione ci sono tutti, ma sono gestiti in maniera così particolare da far sembrare Drive quasi una pellicola differente. L'azione c'è, non è che non, ma è rara e improvvisa e ti prende a calcagnate sul cranio quando meno te lo aspetti (chiedete al signore nell'ascensore per maggiori informazioni), ed è così intensa, violenta e viscerale che ti rimane dentro al punto che sembra di stare guardando un film molto più movimentato di quanto non sia in realtà. Sì, perché alla fine Drive non è un film poi così ricco di sequenze di azione una dietro l'altra, è "solo" un film girato così bene, ma così bene che ti fa sbrodolare sullo schermo e ti fa riempire le sequenze più tranquille con l'attesa per quello che inconsciamente sai che arriverà prima o poi.

Refn è riuscito a fare di Drive un film artistico d'azione, o un film di azione artistica se preferite, e il risultato è una cosa meravigliosa e fichissima nonostate una sceneggiatura che, diciamocelo, puzza un po' di stantio. Come se non bastasse, la colonna sonora è splendida e gli attori sono tutti uno più bravo dell'altro, con Ryan Gosling nella parte dell'Autista che fa quella faccia lì da Ryan Gosling che pure agli uomini eterosessuali viene quasi voglia di strapparsi le mutande di dosso per tirargliele. Insomma, Drive è uno di quei film da comprare in Blu-ray e da guarda ogni tanto per ricordarsi che al mondo ci sono anche cose belle belle in modo assurdo.

15 luglio 2012

Moonrise Kingdom

Moonrise Kingdom è un film di Wes Anderson.

Ecco, basterebbe questo per recensire il nuovo lavoro di questo regista, ma visto che ho voglia di scrivere ancora un po', ne parlerò in maniera un attimo più approfondita.

Co-scritto da Anderson insieme a Roman Coppola (co-autore anche dello splendido The Darjeeling Limited sempre insieme ad Anderson), Moonrise Kingdom è ambientato sull'isola di New Penzance in New England durante l'estate del 1965 (per la cronaca, New Penzance non esiste, ma esiste Penzance in Inghilterra, in Cornovaglia per la precisione). I protagonisti sono Sam e Suzy, due bambini più maturi di quanto non riveli la loro giovane età che decidono di fuggire insieme per coronare il loro sogno d'amore e lasciare una vita che rifiutano e un ambiente famigliare che è loro alieno

Come da tradizione di Anderson, il film è costellato di immagini e personaggi che mettono sempre alla prova la sospensione d'incredulità dello spettatore. Se da una parte le persone che gravitano attorno alla vicenda dei due protagonisti sono sempre verosimili e credibili nel loro essere persone, dall'altra hanno sempre una dimensione, un aspetto che li rende al limite dell'incredibile. Sta a noi spettatore decideri se stare al gioco di Anderson e lasciarci trasportare in un mondo e in una vicenda da favola moderna. Sotto questo punto di vista Anderson è sempre stato un regista "difficile" che può non piacere a tutti. Anche in Moonrise Kingdom il regista americano sembra quasi voler irritare apposta il pubblico con una messa in scena e una cinematografia smaccatamente "indie". È uno scoglio che alcuni potrebbero trovare insormontabile, mentre tutti gli altri troveranno un film che sì rapisce e trasporta come solo Anderson sa fare, ma che ha anche qualche perdita di ritmo.

Il film funziona a meraviglia quando a schermo ci sono Sam e Suzy, personaggi di carisma e forza di volontà invidiabili. È impossibile non fare il tifo per loro, anche quando le cose prendono l'inevitabile piega assurda. Le cose convincono meno quando sono gli altri personaggi a essere in scena, nonostate le ottime prove di tutti gli attori (menzione speciale per il cugino Ben di Jason Schwartzman, personaggio e attore MERAVIGLIOSI). Nonostante il ritmo altalentante, Moonrise Kingdom è un film adorabile e godibile nella migliore tradizione della cinematografia di Anderson. Non sarà per tutti, ma rimane un bellissimo film di un autore originale e particolare.

P.S. Il film in Italia uscirà il 5 dicembre 2012.

1 giugno 2012

Prometheus


Anche se per un po' c'è stata la pantomima del "non è un prequel" "no, dai, forse lo è" "ma sì, dai, lo è", con Prometheus Ridley Scott torna nell'universo di Alien, il film che dopo The Duellists lo consacrò a regista di fama mondiale e che diventò un classico della fantascienza moderna. Con un regista del genere, che affronta materiale simile e con un cast di tutto rispetto, ero molto curioso di vedere cosa sarebbe venuto fuori. Ah, nota di colore: qui nel Regno Unito il film è uscito oggi 1 Giugno, mentre in Italia uscirà a Ottobre.

Prometheus inizia come la storia di un viaggio di ricerca, con una coppia di archeologi convinta che i nostri antenati siano in realtà una razza di alieni, in barba a creazionisti e darwinisti sparsi per il mondo. Loro li chiamano Engineer, Ingegneri, ma nessuno sa chi o cosa siano, o perfino se siano esistiti davvero. La Weyland di Peter Weyland (interpretato dall'artificialmente invecchiato Guy Pierce) decide di finanziare la spedizione spaziale che porta i due archeologi e altri 15 membri dell'equipaggio sul pianeta identificato come l'origine dei nostri alieni progenitori, investendo un fottiliardo e mezzo di dollari e mettendo a disposizione una bella astronave spaziale, la Prometheus del titolo. Le cose ovviamente vanno in vacca piuttosto in fretta e oltre a essere a rischio di lasciarci la pelle, l'equipaggio si trova davanti anche a una minaccia che, guarda un po', potrebbe eliminare completamente l'umanità.

Quello che funziona di Prometheus è tutta la parte tecnica e realizzativa. Visivamente il film è impressionante, con inquadrature e fotografia di prim'ordine e una messa in scena degna della fama del suo regista. Anche se buona parte del film si svolge in corridoi bui e angusti, l'atmosfera e la tensione ci sono tutte. Il cast è ottimo, con Noomi Rapace che si rivela carismatica e convincente e veste con sicurezza e coraggio i panni che saranno poi della Ripley di Sigourney Weaver. Prometheus invece funziona molto meno quando si tratta dei suoi contenuti. È un film freddo, distaccato e asettico come David, il sintetico interpretato dall'ottimo Michael Fassbender, e che non riesce a coinvolgere a livello emotivo. Il destino dei protagonisti suscita reazioni più simili a quelle vissute durante Alien vs. Predator che non a quelle provate di fronte alle vicende della ciurma della Nostromo di Alien. Manca quasi totalmente l'introspezione psicologica e le motivazioni dei personaggi rimangono per lo più oscure e inspiegate. È soprattutto David a lasciare perplessi, con azioni e decisioni che sembrano senza senso, ma che probabilmente nella testa degli autori avrebbero dovuto essere più chiare.

In circa due ore di spettacolo, Prometheus non riesce a decidere cosa vuole raccontarci di preciso, se la storia dei personaggi e delle loro motivazioni o lasciarci una riflessione non particolarmente ispirata su questioni come "Chi siamo?" "Da dove veniamo?" e l'eterno dilemma morale sull'uomo che gioca a fare il creatore. E non è nemmeno casuale la scelta di Prometheus come nome dall'astronave, che richiama Prometeo, il titano che rubò il fuoco a Zeus per farne dono all'umanità. Sono soprattutto l'abilità, l'esperienza e la visione di Ridley Scott e dei responsabili del montaggio e della fotografia a salvare Prometheus dalla trappola di una narrazione poco ispirata e che manca di una direzione precisa, grazie anche all'aiuto di un gruppo di attori in ottima forma. Peccato, ma forse mi aspettavo davvero troppo.

7 maggio 2012

Rare Exports: A Christmas Tale


Prima di vederlo, di Trasporto Eccezionale - Un Racconto di Natale (questo il titolo italiano) sapevo solo che è, guarda un po', un film che ha a che fare col Natale, che è finlandese e che, in quanto tale, è folle (i finlandesi sono tendenzialmente pazzi, si sa). Consigliatomi da un amico che di solito di cinema ne capisce, l'ho affittato sulla fiducia, senza andare a documentarmi meglio su quanto avrei visto. E dopo averlo visto, sono sempre più convinto che i finlandesi taglino la neve e il ghiaccio con roba buonissima.


Bisogna ammettere che Rare Exports ci mette un po' a ingranare, e per un film che dura 80 minuti circa non è esattamente un pregio. Tutta la parte introduttiva del film che prepara lo spettatore per il gran finale è un po' farraginosa  e gli elementi narrativi sono centellinati e nascosti tra i dialoghi bruschi tra i protagonisti, in particolare tra il piccolo Pietari e suo padre Rauno, ma quando il film finalmente prende un buon ritmo, c'è di che divertirsi. La trama all'inizio è piuttosto oscura: si sa che c'è un monte oltre una recinzione, e che nelle profondità di questa montagna si nasconde qualcosa di molto prezioso e probabilmente pericoloso che un tizio anzianotto non vede l'ora di recuperare. Poco distante dall'area vive una comunità di cacciatori e macellai che gradiscono poco le esplosioni di dinamite, soprattutto quando scoprono che tutte le renne della zona, la loro fonte principale di sostentamento e guadagno, sono morte, massacrate da non si sa bene quale animale feroce. Ma mentre gli adulti sono impegnati a cercare di vendicarsi della compagnia a capo dei lavori sulla (e nella) montagna, convinti che sia al centro della vicenda, il piccolo Pietari ha capito chi è il vero responsabile e cerca in tutti modi di avvertire i grandi.

Rare Exports riprende la struttura classica del film di avventura con bambini protagonisti, come Super 8 e The Goonies per esempio, e la reinterpreta in chiave horror. Gli spaventi non sono molti a dire la verità, così come non lo sono le scene cruente, ma c'è una sottile atmosfera di inquietudine che serpeggia per tutto il film. Sarà anche perché al centro di tutto il casino c'è Babbo Natale che emerge dai racconti e dalle leggende che Pietari legge con tanto interesse come una figura più simile al Dracula di Bram Stoker che non al panzone pacioccoso della Coca Cola. Rare Exports è un film originale e creativo, realizzato con grande attenzione e cura in tutti i dettagli, con una splendida fotografia, quell'umorismo auto-ironico che non guasta mai e un finale spettacolare.

6 aprile 2012

The Ides of March


I primi 10 minuti di Le idi di Marzo sfoggiano in ordine sparso: Ryan Gosling, George Clooney, Paul Giamatti, Philip Seymour Hoffman, Evan Rachel Wood e Marisa Tomei. Con un cast del genere, è possibile fare un film del menga? Boh, non lo so, probabilmente sì, ma non è questo il caso perché il thriller politico co-scritto e diretto da George Clooney è un gran bel pezzo di pellicola.

Ambientato durante i pochi giorni che precedono le elezioni primarie del partito democratico americano nello stato dell'Ohio, "Le idi di Marzo" mostra il dietro le quinte di una campagna elettorale moderna, basata su un rapporto simbiotico e quasi incestuoso con la stampa e piccoli, grandi stratagemmi e colpi bassi ai danni dell'avversario. Ryan Gosling è Stephen, un giovane e rampante consulente della campagna del governatore Mike Morris, interpretato da George Clooney. Stephen è aggressivo, sveglio, ha carisma (ed è bello come un dio greco), ma è anche un idealista, una caratteristica che nella politica moderna ha ormai molto poco spazio, e il giovane lo capirà a sue spese.

"Le idi di Marzo" non nasconde nessuna verità rivelata, è un classico thriller politico di tradimenti e vendette che ci ricorda che in politica niente è spontaneo e niente, o quasi, è come sembra. Mentre la trama è piuttosto scontata, sono il cast e la sceneggiatura a far di "Le idi di Marzo" un gran film. Tutti gli attori sono bravissimi, dal primo all'ultimo, con Evan Rachel Wood che spicca nel ruolo della giovane stagista Molly, e il copione non manca un colpo ed è preciso come un orologio svizzero. Ero così preso dal film che non ho mai guardato l'ora per tutta la sua durata e sono arrivato alla fine pensando "Ma come, è già finito?". Ammetto di avere un debole per i film di questo genere, fatti di bravi attori, sceneggiatura solida e bei dialoghi, e anche di apprezzare molto il modo di fare film di George Clooney, ma "Le idi di Marzo" è un bel modo di passare un centinaio di minuti davanti a uno schermo.

27 marzo 2012

Cella 211


Io non ho nulla contro il cinema italiano, ma, vivendo all'estero, succede molto raramente che un film prodotto in Italia riceva attenzioni sui siti di cinema in lingua inglese. L'ultimo film italiano che ho visto è stato (inserire risata pre-registrata) "Le quattro volte", e mannaggia a me quando ho deciso di farlo. Altri film in lingue diverse dall'inglese invece ricevono spesso recensioni e commenti all'estero, e Celda 211 (il titolo originale spagnolo) è uno di questi.

Ambientato in una prigione, questo drammone spagnolo è la storia di Juan Oliver,  un poveraccio che, per fare la figura del primo della classe, va a visitare la prigione dove avrebbe cominciato a lavorare il giorno dopo per fare bella figura e conoscere i colleghi. Caso vuole che proprio quel giorno scoppi una rivolta dei detenuti che prendono controllo di un'intera sezione e che il poveraccio di cui sopra rimanga bloccato all'interno, l'unico civile in mezzo a centinaia di galeotti. Juan però non è proprio l'ultimo dei cretini, e ha la freddezza e il pelo sullo stomaco di spacciarsi per un detenuto e riuscire persino a diventare pappa e ciccia con Malamadre, il leader della rivolta.

Con una sceneggiatura solida e precisa, Cella 211 è un filmone che non annoia e regala momenti di sana e vera tensione. Ha un ritmo puntuale che riesce sempre a introdurre un elemento nuovo senza (quasi) mai esagerare, ed è violento quando conta. Riesce anche ad accennare una contestualizzazione politica che, per una volta, non sembra fuori posto né inserita a forza. Ci sono forse un paio di elementi forse un po' tirati via e talvolta cade nella trappola del melodramma (col ruolo della moglie di Juan e alcuni aspetti del rapporto tra lui e Malamandre) e qualcuno potrebbe trovarlo non propriamente realistico, ma Cella 211 emoziona e tiene incollati al divano dall'inizio alla fine. Decisamente un esordio coi fiocchi per Daniel Monzon.

5 marzo 2012

Super 8


Lo dico subito: a me Super 8 è piaciuto tantissimo. Quindi se per caso nelle poche righe che seguiranno mi lascerò prendere dall'entusiasmo, saprete perché.

Detto questo, per godersi Super 8 bisogna entrare nell'ordine di idee di trovarsi davanti a un omaggio al cinema di un certo tipo, quello tutto buoni sentimenti, famiglia, amicizia e avventura che andava di moda una [GASP] trentina di anni fa, negli anni '80. E sì, ricorda tantissimo The Goonies, e non è un caso, dato che l'autore del soggetto di quel piccolo classico del cinema moderno, Steven Spielberg, è anche uno dei produttori di Super 8. Ma non ricorda solo il bellissimo film diretto da Richard Donner, ma anche altre pellicole simili come Hook ed E.T. (sì, sempre roba di Spielberg). Anzi, dai, ricorda una milionata di film differenti, non racconta niente che non sia già letto e visto in precedenza, ma anche chi se ne frega.

J.J. Abrams, regista e sceneggiatore di Super 8, prende un gruppo di adolescenti, impegnati a fare cose da ragazzini degli anni '80 e a girare un film di zombi diretto da uno del gruppo e lo mette nel bel mezzo di una cospirazione governativa con tanto di ufo e scienziati ribelli. Al gruppo si aggiunge la bella e misteriosa Alice (interpretata da Elle Fanning, sorella di Dakota; e sì, le Fanning sono solo due, ma non so perché, ero convinto che fossero una meno di mille come i fratelli Baldwin), reclutata per ricoprire il ruolo della moglie infettata dal virus zombi del protagonista nel loro film. Vabbe', è inutile raccontare la trama di Super 8, tanto si sa cosa accadrà sin dal primo minuto.

Super 8 funziona benissimo ed è meraviglioso finché mette in scena le amicizie, le cotte, i rapporti conflittuali tra padri e figli. Lo fa grazie a un modo di fare cinema bello e sincero, che si concentra sui giovani protagonisti e sui loro sentimenti e ci riporta indietro nel tempo senza quasi che ce ne si accorga. Funziona meno quando mette in scena la sua anima di film d'azione e forza un po' la sceneggiatura per fare incastrare alcune svolte nella trama. Tuttavia, per quelle poco meno di due ore di durata, Super 8 mi ha ricordato un tempo andato, un tempo di vita e di film, e lo ha fatto facendomi sorridere e divertire esattamente come succedeva allora.

28 febbraio 2012

Everything Must Go


Guardi il trailer di Everything Must Go e ti aspetti una bella commedia che faccia ridere e che ti faccia passare una bella serata senza troppi pensieri. E poi c'è Will Ferrell, cribbio, non gli faranno mica interpretare un ruolo drammatico? E invece le cose sono leggermente diverse.

Basato su un racconto di Raymond Carver, "Why Don't You Dance", questo film scritto e diretto da Dan Rush racconta di Nick Halsey, un dirigente di un'importante compagnia che si ritrova, nel giro di poche ore, disoccupato, senza una casa e abbandonato dalla moglie. Ah, ed è anche un ex-alcolista con una lunga storia di ricadute. Al suo ritorno dopo essere stato licenziato, trova tutta la sua roba ammucchiata nel giardino antistante casa sua e tutte le serrature e combinazioni cambiate, con uno stringato biglietto di addio da parte della moglie. Così, in qualche modo, Nick deve provare a rimettere insieme i pezzi della sua vita dal giardino di casa sua, combattendo contro l'alcolismo che minaccia di riprendere controllo della sua vita, e appoggiandosi sull'amicizia appena stretta con un ragazzino che gironzola nel vicinato e una donna incinta trasferitasi da poco dall'altro lato della strada.

Come già detto, Everything Must Go ha tutto l'aspetto di una commedia, ma in realtà è un film drammatico, con momenti molto intensi e toccanti e qualche situazione divertente qua e là. Una volta entrati in modalità "Ok, è un film drammatico, le risate ci sono, ma sono amare", ci si trova davanti alla classica storia di caduta e redenzione, con un personaggio interpretato benissimo da un Will Ferrell che non ti aspetti, perfettamente a proprio agio in ruolo drammatico, e con Rebecca Hall e l'esordiente Christopher Jordan Wallace altrettanto bravi a dare voce a due personaggi complemento ideale per Nick. Non rivela il segreto della vita o della felicità, e non riserva sorprese di nessun tipo, ma con una narrazione delicata e discreta di un argomento non facile per alcuni aspetti, Everything Must Go è un film piacevole nonostante la situazione sia un po' ai limiti del realismo e un finale un po' troppo "semplice".

26 febbraio 2012

Captain America: The First Avenger


È un periodo di film di super eroi per me: dopo Thor, che mi ha lasciato freddino al punto di non averne avuto nemmeno voglia di scriverne, e Super, ora tocca a Captain America e a Il primo vendicatore. Confesso che ho passato i primi dieci minuti del film a chiedermi che ci facesse Johnny Storm mingherlino nei panni di Steve Rogers e se la sua presenza non avrebbe causato dei danni irreparabili alla continuità dell'universo dei super eroi della Marvel. Fortunatamente non è apparso nessun cattivo o super eroe non previsto e i cazzotti se li sono dati solo i personaggi previsti dal copione e dal fumetto. Cazzotti di grande qualità, per altro.

Io non sono un grande appassionato di Capitan America e di super eroi in generale: lo conosco, so a grandi linee chi è e che fa nella vita, guardavo i cartoni animati che passavano in TV quando ero bambino, ma non so molto altro dell'eroe che dovrebbe rappresentare la parte migliore dell'America in guerra. Non posso quindi andare a fare le pulci a eventuali libertà creative che regista e sceneggiatori si sono presi rispetto al materiale originale. Senza termini di paragone, quello che rimane di The First Avenger è un film di super eroi fatto in maniera tradizionale, che non si vergogna di omaggiare i film d'azione vecchio stile con personaggi piacevoli, anche se non particolarmente profondi, un cattivo così cattivo che non si può fare a meno di detestare (magari sono io, ma Hugo Weaving, bravissimo per carità, comincia ad annoiarmi, mi sembra che si limiti a riutilizzare sempre lo stesso personaggio), un umorismo semplice e mai invadente e un'estetica retrò.

Sì, è scontato e sa tantissimo di già visto, ma The First Avenger ha un protagonista carismatico e affascinante, e non solo perché ha la faccia e i muscoli della Torcia Um... uhm, di Chris Evans. La figura soldato dal cuore d'oro ha ancora un suo certo fascino, e Joe Johnston lo sfrutta a dovere circondando Capitan America di attori e personaggi all'altezza del ruolo e della situazione (splendido l'Howard Stark di Dominic Cooper) e creando scene d'azione e di combattimento impeccabili sotto ogni punto di vista. Probabilmente non è uno di quei film memorabili che entreranno nella storia del cinema (dai, azzardo che non lo è sicuramente), ma nella categoria dei "Film d'intrattenimento che ti fanno un po' esaltare come un bambino", questo Captain America fa la sua porchissima figura.

15 febbraio 2012

Super


Se prendiamo Kick-Ass e, al posto di un ragazzino sfigatino appassionato di fumetti, ci mettiamo un adulto psicopatico abbandonato dalla moglie alcolizzata e drogata, otteniamo Super, scritto e diretto da James Gunn, l'autore di quella piccola gemma horror che è Slither e la mente dietro anche a quella trovata divertente che è la serie di PG Porn.

Usare il termine "psicopatici" per il protagonista Frank e la sua degna compare Libby non è per niente un'esagerazione, perché il primo è davvero fuori come un balcone, in preda a visioni mistiche, con la gentile partecipazione di alcuni tentacoli usciti direttamente da un hentai, che lo convincono di essere il prescelto di Dio per dispensare giustizia nel mondo e improvvisi e violentissimi raptus d'ira, mentre sotto le adorabili spoglie della seconda (che ha il bel visino di Ellen Page) si nasconde un'appassionata di fumetti con un fetish per i super eroi e una violenza repressa che fa spavento quando si scatena. I due sono al centro di una vicenda strana per certi versi, che è in parte commedia nera e in parte una storia dai toni piuttosto drammatici, con improvvisi e in parte inaspettati picchi di violenza fisica ed estremamente grafica. È forse questo aspetto che mi ha spiazzato, questa apparente indecisione di Super sul cosa vuole essere: non è del tutto una commedia perché non fa propriamente ridere, ma non è nemmeno un horror o un film violento, e non è un film drammatico. È schizofrenico nella sua identità cinematografica e, per quanto abbia dei momenti ottimi, mi ha lasciato interdetto, indeciso sul come sentirmi perché saltava da un'emozione all'altra per il gusto di farlo e sull'onda di un'intuizione estemporanea e non per un reale percorso di sceneggiatura, ma è anche molto probabile che sia stato io a non essere entrato in sintonia con Gunn e i suoi eroi da manicomio. Avrei preferito una maggiore coerenza emotiva e di generi, se vogliamo, ma Super rimane comunque un'interessante e tutto sommato piacevole reinterpretazione del mito dei super eroi.

6 febbraio 2012

Attack The Block


Guardando Attack The Block mi è sembrato di tornare ragazzino, quando andavo al cinema con mio padre (è successo poche volte in verità, ma non importa) a vedere i film ignoranti di Stallone come Rocky IV e Rambo 2, durante i quali era accettato e incoraggiato applaudire e urlare quando il nostro eroe si risollevava o ammazzava il cattivo di turno. Con questo film di Joe Cornish viene naturale fare lo stesso, perché ha quello spirito un po' menefreghista e cazzaro, con momenti infantilmente esaltanti che ti fanno venire i lucciconi di gioia e allegria. È solo un peccato che l'abbia visto da solo, perché in compagnia dev'essere nettamente più divertente.

Attack The Block è un film che prende un po' di generi, li mischia, e ne tira fuori un'oretta e mezza di godibilissimo intrattenimento cinematografico. C'è il gruppo di ragazzini che fa tanto Goonies moderni, solo che questi sono un mucchio di mezzi delinquenti cresciuti in un council estate (le case popolari inglesi) del Sud di Londra, ci sono degli alieni che arrivano sulla Terra e decidono di attaccare il palazzo dei suddetti giovincelli in seguito a un "disguido", ci sono i personaggi di contorno simpatici, detestabili e scombinati. C'è anche un accenno di analisi e denuncia sociale sulle condizioni di vita dei giovani cresciuti nelle zone più disagiate di Londra e che probabilmente sfugge a chi non conosce un minimo l'argomento. Ci sono le scene di azione, i momenti di suspence, gli spaventi (piccoli, in verità), le risate, il sangue e la carne strappata a brani. Insomma, c'è un po' di tutto, in dosi e tempi giusti, e non è un caso che siano coinvolti nel progetto anche alcune delle persone che hanno lavorato su Shaun of the Dead e Hot Fuzz, perché ne condivide impostazione e approccio ai vari generi da cui prende ispirazione.

Mi raccomando, se possibile è da vedere in lingua originale per poter apprezzare il particolare accento del Sud di Londra ("A'ight, bruv?) e alcune espressioni slang assurde.

1 febbraio 2012

Trust


Con forse qualche pregiudizio di troppo, non è facile aspettarsi molto da un film diretto da David Schwimmer, il cui ruolo più famoso è sicuramente quello di Ross in Friends, ma non va dimenticato che ha anche diretto Run Fatboy Run nel 2007.

Eppure, forse un po' a sorpresa, Trust è un gran bel film che affronta un tema difficile come quello della pedofilia con tatto e delicatezza rari. Non è film di accusa o una caccia al mostro, né offre soluzioni a un problema per il quale è difficile fare prevenzione vera e concreta. Cerca solo di mostrare il dramma di una quattordicenne che finisce per essere la vittima di un uomo adulto che approfitta di lei e della sua ingenuità e quello della sua famiglia impegnata a rimettere insieme i pezzi della propria esistenza. Perché se da un lato è ovviamente la giovane Annie a essere la protagonista e vittima della vicenda, dall'altra ci sono i genitori Will e Lynn che non sanno come comportarsi in una situazione del genere combattuti tra il senso di colpa per non essere stati in grado di proteggere la propria bambina e il desiderio di vendetta, di punizione per il colpevole. È soprattutto il padre, interpretato da un ottimo Clive Owen, a essere più in difficoltà, a non riuscire a trovare quel briciolo di pace interiore necessario per dare un senso di sicurezza alla figlia che vede la sua vita da adolescente andare in frantumi un pezzo alla volta.

Trust è indubbiamente un bel film, ma è soprattutto l'interpretazione di Liana Liberato nella parte di Annie a spiccare e a elevarlo sopra la media, e per una volta abbiamo un'attrice che ha davvero l'età del personaggio che interpreta e non un'adulta che fa finta di essere una ragazzina (come per esempio Carey Mulligan nel bellissimo An Education). Quindi facciamo i complimenti a Ros... ehm, David, perché se li merita davvero.

30 gennaio 2012

The Beautiful Land


The Beautiful Land è un libro che costa 99 centesimi americani, 89 centesimi di euro o 79 pence a seconda dell'Amazon sul quale lo si acquista, e si trova per ora solo in formato digitale e in inglese. Ho scoperto della sua esistenza grazie al tweet di un amico ed ex collega americano. È scritto da Alan Averill, che prima di darsi alla scrittura a tempo pieno, ha lavorato negli uffici americani di Nintendo sulla localizzazione di titoli come Hotel Dusk e Advance Wars. Considerato il prezzo, basterebbe dire che il libro è bello, perché a quella cifra è davvero un delitto non comprarlo, ma spenderò qualche parola in più al riguardo.

The Beautiful Land è un libro di fantascienza, che ricorda come meccanismi alcuni libri di Michael Crichton, con un elemento quasi scientifico, decisamente fantastico, ma tutto sommato plausibile e credibile che fa da fondamenta a tutta la vicenda. Nel caso del libro di Averill si tratta del viaggio del tempo e di una macchina inventata dal genio di turno che permette di saltare tra le varie linee temporali. The Beautiful Land è anche la storia di due persone, Takahiro e Samira (Tak e Sam per gli amici), un ragazzo e una ragazza legati da un forte legame, e della loro lotta per non perdersi e magari, già che ci sono, evitare che il mondo finisca.

Come ogni bel libro che si rispetti, The Beautiful Land funziona su più livelli. La trama principale è ben costruita e interessante, complessa, ma che non esagera mai con i colpi di scena o con eventi inspiegabili o poco credibili. Ma sono soprattutto i due personaggi a reggere la baracca: è facile affezionarsi a Tak e Sam, con la loro serie di problemi e conflitti interiori e non in quantità giusta da risultare credibili come persone. I loro dialoghi sono piacevoli, fanno sorridere e suonano come cose che due persone si direbbero sul serio, anche in situazioni incredibili come quelle in cui si trovano. Il libro si legge di corsa (non è molto lungo, ma io l'ho finito in circa tre giorni) anche per vedere come se la caveranno loro due e non solo per scoprire cosa accadrà al mondo.

Insomma, a 89 centesimi sono pochissimi per quasi qualsiasi cosa, ma se si tratta di un bel libro come The Beautiful Land, sono una cifra davvero irrisoria. Se avete un Kindle e avete fiducia nella vostra capacità di leggere in inglese, sarebbe un peccato lasciarselo scappare.

22 gennaio 2012

Source Code


Immagino che Duncan Jones sia il regista ideale per i produttori moderni: fa film con quattro soldi, risparmia su cast e set usando pochi personaggi e ancora meno ambientazioni e, nel caso paghi gli attori un tanto a parola, non scrive mai dialoghi superflui o ridondanti. E come se non bastasse, fa pure dei gran bei film.

Source Code è il suo lavoro più recente e si avvale di un cast più corposo rispetto al precedente Moon. Si tratta ancora una volta di un film di fantascienza, e ancora una volta è una fantascienza saldamente ancorata alla nostra realtà, che prende un elemento fantastico e lo inserisce nel contesto di una situazione realistica e credibile. In questo caso abbiamo a che fare con il programma "Source Code" (che non capisco perché non abbiano tradotto con "Codice sorgente" nel titolo italiano), una nuova tecnologia che sfrutta l'energia cerebrale residua nei deceduti per ricreare una sorta di realtà alternativa con la quale alcuni agenti possono interagire e Jake Gyllenhaal è uno di questi operatori altamente specializzati. E finiamola qui con la trama.

Il modo di fare cinema di Jones mi piace assai. Il suo è un cinema... educato, ecco, molto inglese per certi versi, che non si dimena scompostamente per attirare l'attenzione dello spettatore e non urla sguaiatamente per svegliare il pubblico assopito. Non ne ha bisogno perché, con il suo stile pulito e con sceneggiature che quadrano sempre il cerchio, è davvero difficile annoiarsi con un film di questo regista inglese. Anche gli attori si adeguano al suo stile compìto, perché Gyllenhaal e le co-protagoniste Michelle Monaghan e Vera Farmiga regalano interpretazioni intense, ma mai fuori posto né sopra le righe, sempre in sintonia con il regista e con gli altri attori. Quella che inizialmente sembra una rivisitazione in chiave thriller di Groundhog Day ("Ricomincio da capo" in italiano) si rivela essere un film profondo e complesso che non evita di affrontare temi che si sarebbero facilmente prestati a discorsi di retorica spinta; Jones invece li inserisce nel contesto della storia con il suo solito tatto e con un gusto cinematografico invidiabile. Source Code conferma quanto di buono Jones aveva fatto vedere con Moon ed è un sollievo, perché sarebbe stato un peccato scoprire che Moon era stato solo una botta di culo.

20 gennaio 2012

Unstoppable - Fuori controllo


Tony Scott è quello che dei due fratelli fa i film ignoranti e fracassoni, ma che ci piacciono tanto e ci fanno divertire come dei pazzi. In Fuori controllo (no, non è quello con Mel Gibson) prende Denzel Washington e lo mette nei panni dell'addetto ai treni esperto e disilluso e gli mette a fianco quel marcantonio di Chris Pine nella parte dell'addetto ai treni con mansioni diverse da quelle di Denzel tanto bello, quanto irruento e testone. Loro malgrado, i due baldi eroi si ritrovano impegnati a dover fermare un treno impazzito lasciato libero di scorrazzare per i binari di non mi ricordo quale Stato americano (Pennsylvania?) prima che deragli da qualche parte e combini un disastro.

Con uno sviluppo dei personaggi pronfondo quanto una pozzanghera residuo di dieci minuti di pioggia leggera, Unstoppable è tutto botti, esplosioni, dialoghi un po' del menga e scene d'azione che, anche se spesso sai benissimo come andranno a finire, ti tengono lo stesso incollato allo schermo. È un orologio perfetto, ogni ingranaggio è oliato alla perfezione e fino alla fine è un film d'azione divertente alla vecchia maniera. Parte forse lento, un po' come un treno che ci mette un po' a prendere velocità (questa metafora è più profonda di qualsiasi cosa trovata nel film, ve lo assicuro), ma una volta partito non si ferma fino ai titoli di coda. E poi cribbio, c'è pure Rosario.

7 gennaio 2012

À bout portant


À bout portant, che dubito sia mai uscito ufficialmente in Italia, non comincia non migliori dei modi: si apre con un inseguimento a piedi, con il signore nella locandina qui sopra nella parte dell'inseguito e due tizi armati di pistole impegnati a rincorrerlo giù per delle scale, poi in un parcheggio, poi su un ponte e poi basta che poi faccio SPOILER. Il punto è che l'inseguito è per tutto il tempo impegnato, oltre che a scappare, a tenersi una mano su una ferita che ha sull'addome e che sta sanguinando copiosamente. Quindi il suo passo è tutt'altro che centometrista. Eppure, per i pochi minuti della durata dell'inseguimento, i due tizi che lo rincorrono, che hanno un aspetto sanissimo e che non mostrano problemi fisici di nessun tipo, non solo non riescono a raggiungerlo, ma nemmeno ad avvicinarsi al loro bersaglio. Misteri della sceneggiatura.

A parte questo problema di sospensione dell'incredulità iniziale, questo film francese regala un'oretta e mezza scarsa di azione e intrattenimento di gran fattura. La tensione è dosata con mestiere e la storia risulta interessante e soprattutto credibile fino alla fine (e anche complicata al punto giusto). Fortunatamente gli autori hanno evitato i classici salti mortali per sorprendere lo spettatore e la sceneggiatura è solida e non lascia dubbi o buchi qua e là (a parte il misterioso inseguimento a elastico iniziale, ecco). Nonostante fosse facile cadere nella sua trappola, il film non esagera con la violenza gratuita, ma la conserva per i momenti che contano, aumentando di quel tanto che basta il livello da aumentarne l'impatto.

"À bout portant" è la storia di un uomo comune che si ritrova suo malgrado in una situazione eccezionale e della sua lotta per uscirne vivo, salvando anche la moglie incinta già che c'è. Non ha messaggi profondi o verità rivelate, ma è un film d'azione che fa quello che deve fare in maniera irreprensibile e senza sbagliare nulla o quasi (non inaspettatamente, pare che ne faranno una versione americana).

4 gennaio 2012

Le quattro volte

Come primo post dell'anno nuovo mi sembra giusto parlare di un film come Le quattro volte. Non ricordo come ho scoperto della sua esistenza, ma ne ho letto bene e, nonostante dicessero tutti che era un film "artistico", ho deciso di dargli una possibilità.

Non lo avessi mai fatto.

La locandina in effetti avrebbe dovuto farmi venire qualche sospetto. "Le quattro volte" non è tanto un film, quando piuttosto un documentario. Ambientato in non mi ricordo più quale paesino montano calabrese, segue con pigra attenzione le vicende giornaliere di un anziano pastore e, [SPOILER] dopo la sua morte, la vita di un agnellino e poi di un pino trasformato in albero della cuccagna che infine diventa carbone. Non sto inventando, giuro che è così. Le velleità artistiche non mancano di certo al regista e autore Michelangelo Frammartino, e la fotografia è decisamente apprezzabile, ma è durissima guardare un'ora e mezza scarsa di immagini accompagnate da belati e poco più. Io ce l'ho fatta a malapena, ma confesso di aver passato buona parte del film a cazzeggiare su vari social network con lo smartphone, e sono arrivato alla fine giusto per curiosità perversa più che per reale interesse nel film. La sua rappresentazione delle varie fasi della vita è fin troppo metaforica per me, ammetto i miei limiti e dico che, per quanto poetico e artistico, a me ha abboffato le palle.
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