28 novembre 2010

Shutter Island

La Logorrea, con la L maiuscola, quella che a volte si impadronisce di persone insospettabili come giopep. Oppure di registi come Martin Scorsese, che in Shutter Island si lascia prendere un po' la mano e allunga quello che, con qualche taglietto qua e là in più, sarebbe stato un ottimo film.
Non che così com'è Shutter Island sia brutto, intendiamoci, del resto c'è Leonardo Di Caprio che a me, come attore e anche un po' anche come uomo, piace da impazzire, e poi cribbio, c'è Max von Sydow che mette angoscia solo a guardarlo, però ci sono stati momenti in cui ho sentito che la sceneggiatura la stesse tirando troppo per le lunghe.

Shutter Island è un thriller che non arriva a spaventare, ma riesce nell'intento di mettere a disagio con la sua atmosfera e con i suoi personaggi malati, ma malati per davvero visto che il film è ambientato in una struttura psichiatrica che "ospita" criminali psicopatici di varia natura. L'ospedale e l'isola su cui esso si trova sono poi due personaggi a parte, espressivi e inquietanti come e quanto le persone che li abitano.

Lunghezza a parte, non c'è niente che non vada in Shutter Island e, pur senza essere un film che passerà alla storia del cinema, si lascia guardare con piacere ed è in grado di regalare più di un brivido.

20 novembre 2010

Patrik 1,5

La prima cosa che ho pensato guardando Patrik 1,5 è stata se sia un caso che un film del genere arrivi dalla Svezia e non, che so, dagli Stati Uniti o [ROTFL] l'Italia.
Tratta dall'omonima pièce teatrale, la storia ci è già stata raccontata tante volte: c'è una coppia che non può avere figli, c'è un bambino orfano e problematico in attesa di trovare una famiglia affettuosa, il tutto sullo sfondo di un quartiere periferico di un'ignota cittadina svedese che sembra uscito da un catalogo dell'Ikea, manichini inclusi. A essere diversi sono la coppia e il bambino: la coppia è formata da due uomini omosessuali felicemente sposati, uno medico e l'altro impiegato in una compagnia di non si sa che tipo. Il bambino invece non è bimbo già da un po' e quel 1,5 è al centro in equivoco burocratico che fa arrivare in casa di Sven e Goran un adolescente di 15 anni, il Patrik del titolo, con alle spalle un passato burrascoso e di fronte a sé un futuro altrettanto gramo.

L'argomento del film è delicato e si presta alla retorica della peggior specie, ma fortunatamente la regista riesce a evitarla, limitandosi a raccontare una storia di persone, di come il concetto dei confini di quello che chiamiamo "famiglia" possano e debbano essere estremamente volatili. Il film non sorprende e fa tutto quello che ci si aspetta, nel bene e nel male, ma è una di quelle pellicole che, come si suol dire, scaldano il cuore. Ha anche un umorismo discreto e riesce a scherzare dei pregiudizi, cosa non facile. Non è un film memorabile, ma è perfetto per essere guardato da sotto il piumone quando fuori infuria la tempesta.

15 novembre 2010

Four Lions

Si può mettere qualsiasi argomento al centro di una commedia? Con il suo "La vita è bella", Benigni ha dimostrato che è possibile farlo, che si può ridere e sorridere persino di fronte alle tragedie peggiori, basta avere tatto e intelligenza.
A suo modo prova a fare lo stesso Chris Morris con il suo Four Lions. L'argomento stavolta è il terrorismo islamico, quello "casalingo" per la precisione, portato avanti da cittadini nati e cresciuti in Occidente e radicalizzati per motivi differenti. I leoni del titolo sono quattro (più uno, diciamo) musulmani inglesi che vogliono organizzare un attacco terroristico sul suolo britannico. Non sono esattamente i terroristi più svegli del mondo e, a parte il leader di fatto del gruppo Omar, gli altri sono dei perfetti imbecilli, ignoranti e refrattari a qualsiasi influenza positiva. Persino Omar, sposato e padre di un figlio, è cieco a quanto di buono ha nella sua vita e pensa solo al paradiso, alla gloria eterna che il martirio gli assicurerà. È forse questo l'aspetto più inquietante della vicenda, insieme al fatto che alcuni dei terroristi non sembrano avere ben chiaro perché sono disposti a farsi saltare in aria.

L'umorismo di Four Lions è nero, amaro. Le risate che strappa sono sincere, ma altrettanto sincera è la realizzazione che si sta ridendo di qualcosa che non potrebbe essere più lontano dall'idea stessa di comicità, e questa comprensione lascia in bocca in sapore terribile. Il film di Morris lavora su due livelli, quello della commedia e quello della tragedia, e li porta avanti parallelamente e contemporaneamente con tempismo e coerenza narrative notevoli. E alla fine ti lascia con un sorriso triste stampato in faccia, perché dentro di te sai che forse non c'era proprio un cazzo da ridere, ma lo hai fatto lo stesso perché non se ne poteva fare a meno.
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